Presentando sulle pagine del Corriere della Sera l’uscita del nuovo
“Album di una vita” dedicato a Dino Buzzati e riproposto da
Mondadori per i cinquant’anni dalla scomparsa (1972-2022),
Lorenzo Viganò – il curatore del volume – evidenzia come sia
impossibile separare l’uomo dalla sua opera di giornalista,
scrittore, pittore, drammaturgo, poeta. Soprattutto, che non si
possa capirne un aspetto senza conoscerne l’altro. In effetti, per comprendere
la comunicativa dell’eclettico intellettuale bellunese, occorre addentrarsi
passaggio dopo passaggio, come fosse un’arrampicata, in ognuna delle sue
forme espressive. Il suo tenente Drogo, la piazza di Milano con il duomo
dolomitico o “Poema a fumetti” (futuristica graphic novel), sono solo alcune
finissime perle di un’unica collana. Ma a orientare lungo il percorso, come un
ometto di pietre in quota, c’è una matrice comune a ciascuna sua espressione:
il senso di mistero, d’inquietudine, di fantastico e onirico. È questo che dona
alla sua opera il pregio d’essere senza tempo, di sfidare l’immortalità
divenendo capolavoro. E sdoganando finalmente l’aritmetica proporzione –
tutta letteraria – per la quale Buzzati sta alla montagna come Conrad
(o Melville) sta al mare.
Nel nostro piccolo, dedichiamo a lui, il giovane Dinubis che trasfigura la
Croda da Lago nel Palais hantè di Poe, l’apertura di questo nuovo numero.
m.g.